Cass. civ., sez. I, ord., 31 dicembre 2021, n. 42142
La vicenda
Con sentenza del 17.7.2019 il Tribunale per i Minorenni di Lecce dichiarava lo stato di adottabilità di tre minori.
I genitori erano stati ritenuti inidonei alla funzione genitoriale e i nonni materni al ruolo di affidatari. I minori venivano collocati in una casa famiglia.
Proponevano distinti appelli il papà dei minori e i nonni materni. La madre costituitasi nel giudizio, chiedeva l’affidamento dei figli per sé o ai nonni materni, previa revoca dello stato di adottabilità.
La Corte di appello di Lecce, previa audizione degli affidatari e del responsabile della casa di famiglia ove erano stati collocati i tre minori e previa consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza dell’8.2.2021 respingeva gli appelli e compensava le spese.
Il Papa’ dei tre minori proponeva ricorso per cassazione lamentando la mancata predisposizione di qualsiasi progetto di intervento volto a sostenerlo nelle funzioni genitoriali, segnalando a tale riguardo il mancato supporto nella ricerca di una congrua soluzione abitativa e la mancata esplorazione di interventi di sostegno integrativo (educativa domiciliare, inserimento diurno in struttura con rientro serale presso l’abitazione paterna). A sua detta la Corte D’Appello non avrebbe considerato il profondo rapporto affettivo esistente tra lui ed i tre figli, accertato in giudizio, fondando la decisione sulle sue ridotte capacità genitoriali, ostacolate più che altro da un handicap culturale e cognitivo.
Il ricorrente stigmatizzava altresì la mancata valutazione del cambiamento delle sue condizioni di vita in corso di procedimento (reperimento di un lavoro come bracciante agricolo e di una casa accogliente, messa a disposizione da parte del datore di lavoro) che denotavano una positiva evoluzione e facevano presagire la disponibilità a cambiamenti ulteriori e la valutazione della Corte Territoriale circa la sua inidoneità genitoriale, derivante a detta di quest’ultima, dalla sua “scarsa capacità di osservazione e ragionamento” e sulla sua “fragilità cognitiva”, peraltro dovute, come riferito dalla Consulente tecnica d’ufficio, alla bassa scolarizzazione (licenza elementare), alla lunga permanenza in Germania (dai 16 ai 42 anni) e al lavoro come bracciante agricolo.
Tutte le censure del ricorrente sono state accolte.
Ha ritenuto la Corte di Cassazione che secondo un orientamento compatto e consolidato il ricorso alla dichiarazione di adottabilità costituisce solo un rimedio eccezionale e una “soluzione estrema”, poiché il minore ha diritto a crescere ed essere educato nella propria famiglia d’origine, quale ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico.
Il giudice di merito deve operare un giudizio prognostico teso, in primo luogo, a verificare l’effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento sia alle condizioni di lavoro, reddituali ed abitative, senza però che esse assumano valenza discriminatoria, sia a quelle psichiche, da valutarsi, se del caso, mediante specifica indagine peritale, estendendo detta verifica anche al nucleo familiare, di cui occorre accertare la concreta possibilità di supportare i genitori e di sviluppare rapporti con il minore, avvalendosi dell’intervento dei servizi territoriali; la “soluzione estrema” può essere adottata solo quando ogni altro rimedio risulti inadatto con l’esigenza dell’acquisto o del recupero di uno stabile ed adeguato contesto familiare in tempi compatibili con l’esigenza del minore stesso; qualora però, a prescindere dagli intendimenti dei genitori e dei parenti, la vita da loro offerta a quest’ultimo appaia inadatta al suo normale sviluppo psico-fisico, ricorre la situazione di abbandono ai sensi della L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 8 e la recissione del legame familiare è l’unico strumento che possa evitargli un più grave
A tali principi non si è conformata la Corte salentina che ha attribuito rilievo decisivo a circostanze, stigmatizzate come immodificabili e irrecuperabili, obiettivamente irrilevanti, legate alla deficitaria dotazione cognitiva e alle profonde carenze culturali ed espressive del ricorrente; riprendendo le osservazioni della Consulente, la Corte ha parlato di limiti cognitivi, scarse capacità di osservazione, di ragionamento e di integrazione di informazioni e di valutazioni alternative.
Tali fattori di arretratezza cognitiva e culturale non dovevano essere valutati e almeno non dovevano vedersi riconoscere un rilievo decisivo ai fini dell’esclusione della capacità genitoriale e dell’accertamento dello stato di abbandono morale e materiale dei minori, perché ciò dà ingresso a una tipologia di intervento statuale che, pur diretto alla protezione dei minori, finisce con il ledere, come osserva correttamente il ricorrente, la dignità della persona e mirare alla selezione del miglior genitore possibile in sostituzione di quello biologico, culturalmente e intellettivamente arretrato.