Cassazione Civile sez. I, ord., 2 agosto 2022, n. 23998
Aver conseguito una laurea in giurisprudenza non costituisce indice di effettiva capacità reddituale.
Il caso
I coniugi A e B divorziano ed i giudici, sia di primo che di secondo grado, decidono che l’uomo dovrà versare ogni mese all’ex moglie 1.400 euro come assegno divorzile.
I giudice di appello chiariscono che A. non dispone di mezzi economici adeguati, essendo rimasta fuori dal mercato del lavoro subito dopo il matrimonio durato dieci anni per essersi dedicata alla cura sia del ménage familiare che della parte amministrativa della professione di dentista del marito.
A fronte di tale quadro, quindi, secondo i giudici «il conseguimento», da parte della donna, «della laurea in giurisprudenza, dopo la separazione non costituisce indice di effettiva capacità reddituale».
In sostanza, la donna «è pervenuta al divorzio indebolita sul piano della capacità occupazionale e sul piano previdenziale», anche perché, chiariscono i giudici d’appello, «è affetta da patologie certificate» ed è sì «proprietaria di due unità immobiliari» ma «una è la sua abitazione e l’altra è, allo stato, improduttiva di reddito».
Col ricorso in Cassazione B. prova a dimostrare come l’ex moglie si sia colpevolmente posta in una situazione di precarietà economica, osservando che «l’ex coniuge ha un titolo di studio professionalizzante e, all’epoca del divorzio, aveva appena superato i 40 anni di età – mentre oggi ne ha oltre 60 –» e aggiunge poi che «la scelta» della donna «di non svolgere alcuna attività era legata a scelte personali e non ad esigenze della famiglia» sottolineando che A è anche «proprietaria di due appartamenti, anche se non produttivi di alcun reddito».
La decisione della Corte di Cassazione
I Giudici di Cassazione confermano il diritto della donna a percepire ogni mese un assegno divorzile di 1.400 euro in quanto «l’età e l’annosa inesperienza, frutto di una scelta coniugale condivisa col marito, le hanno reso oggettivamente assai difficile, se non impossibile, il rientro nel mercato del lavoro». Decisivo, in particolare, il riferimento alla circostanza che durante il matrimonio «i coniugi avevano, di comune accordo, definito che la moglie si occupasse della gestione familiare in senso ampio e si occupasse di alcune incombenze di supporto all’attività professionale del marito, contribuendo alla formazione del patrimonio di comune».