Mantenimento del coniuge, anche se laureata non può rifiutare determinate offerte di lavoro
Cass. civ., sez. VI, ord. 4 marzo, 2021, n. 5932
In un procedimento di separazione, i giudici di merito, in primo grado e in appello, ritengono il marito responsabile della crisi coniugale e pongono a suo carico un assegno mensile di 1.000 euro in favore della moglie che, viene rilevato, «ha redditi assai modesti». I Giudici d’Appello precisano che «il profilo individuale non va mortificato con possibili occupazioni inadeguate, non potendosi pretendere che una donna quarantottenne, laureata, che aveva goduto di un livello di vita invidiabile, poi sia condannata al banco di mescita o al badantato».
Quest’ultima osservazione viene fortemente censurata dai Giudici della Cassazione, che non mettono in discussione, invece, le colpe dell’uomo per la separazione. Si afferma infatti che, «in tema di separazione personale dei coniugi, la loro attitudine al lavoro proficuo, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento che è indispensabile valutare ai fini delle statuizioni afferenti l’assegno di mantenimento, dovendo il giudice accertare l’effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale». In questa ottica, può rilevare, ad esempio, anche «la possibilità di acquisire professionalità diverse ed ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza, o la circostanza che il coniuge abbia ricevuto, successivamente alla separazione, effettive offerte di lavoro, ovvero che comunque avrebbe potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione».