Cassazione civile sez. I – ordinanza 12/07/2022, n. 22076
“In tema di contributo al mantenimento dei figli maggiorenni, il giudice a cui sia chiesta la revoca del corrispondente assegno, in ragione del reperimento da parte del figlio di un’occupazione lavorativa, è chiamato a valutarne in concreto il raggiungimento dell’indipendenza economica, considerandone l’effettivo inserimento nel mondo del lavoro, in base alle specifiche attitudini dimostrate e alle correlate aspirazioni, senza che abbia rilievo, in sé, ai fini dell’esclusione dell’indipendenza economica del figlio, il fatto che il contratto di lavoro sia a tempo indeterminato, né che l’ammontare del compenso sia inferiore a quello astrattamente possibile per effetto del possesso di un titolo di studio capace di farne conseguire uno più alto”.
Il CASO
La Corte d’appello di Ancona respingeva il reclamo di B.G. contro il provvedimento di primo grado del Tribunale di Ascoli Piceno che, sulla richiesta di quest’ultimo, volta ad ottenere la revoca del contributo al mantenimento del figlio L., stabilito in sede di divorzio, aveva disposto come segue: “sospende l’obbligazione del ricorrente alla dazione dell’assegno quale contributo al mantenimento del figlio L., con decorrenza dalla domanda; obbligazione che dovrà intendersi ripristinata se e quando il figlio dovesse essere privo dell’occupazione lavorativa se non stabile, quantomeno continuativa, e remunerata quantomeno nella misura oggi dallo stesso percepita”.
In particolare, la Corte d’appello ha considerato le richieste formulate da tutte le parti in causa e, nel caso di specie, a fronte della richiesta di revoca del contributo al mantenimento del reclamante, i reclamati avevano, in via gradata, chiesto di subordinare il giudizio di raggiunta indipendenza economica almeno alla proroga del contratto di lavoro, che aveva durata annuale. Ha rilevato che il figlio degli ex coniugi si era diligentemente attivato per reperire un’occupazione lavorativa ed era stato assunto a tempo determinato da un Comune, con la qualifica di istruttore amministrativo, stipulando un contratto di lavoro a tempo determinato della durata di un anno, salvo conferma di uguale periodo, circostanze che, tuttavia, non consentivano di ritenere raggiunta l’indipendenza economica, sia per la temporaneità dell’incarico e sia per la percezione di un reddito non adeguato al titolo di studio (laurea in giurisprudenza) e alle conseguenti aspirazioni professionali.
Avverso tale statuizione, B.G. ha proposto ricorso per cassazione.
La Suprema corte nel decidere ha ribadito che pacificamente la giurisprudenza di legittimità ritiene che l’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli non cessi, ipso facto, con il raggiungimento della maggiore età, ma che possa perdurare finché il genitore interessato alla declaratoria di cessazione dell’obbligo non dia prova che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un’attività lavorativa dipenda da un atteggiamento di inerzia.
Fin dall’entrata in vigore della legge sull’affidamento condiviso, in ordine alla previsione, assolutamente innovativa, della spettanza all'”avente diritto” dell’assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne, contenuta nell’art. 155 quinquies c.c. e rimasta invariata con le più recenti riforme, gli interpreti hanno sottolineato che l’intento legislativo era primariamente quello di responsabilizzare il figlio ultra diciottenne, ormai proiettato in una dimensione ben lontana da quella che aveva caratterizzato la sua infanzia e la sua adolescenza, prossimo a divenire, a tutti gli effetti, adulto ed autosufficiente sotto tutti gli aspetti e, dunque, anche quello economico.
L’affrancazione dalla presenza, accudente, dei genitori, deve spingere il figlio maggiorenne ad apprendere come gestire – anche economicamente – la propria esistenza, in un cammino ormai avviato verso la completa indipendenza.
Il problema è quello di comprendere quando il genitore può ritenersi liberato dall’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio maggiorenne.
La Corte, con orientamento condiviso, ha di recente precisato che il figlio maggiore d’età ha diritto al mantenimento dai genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente, ma senza esito, per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente nel ricercare un’occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell’attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni.
Non si deve, comunque, dimenticare che è compito dei genitori di assecondare, per quanto possibile le inclinazioni naturali e le aspirazioni del figlio, consentendogli di orientare la sua istruzione in conformità dei suoi interessi e di cercare un’occupazione appropriata al suo livello sociale e culturale, anche mediante la somministrazione dei mezzi economici a tal fine necessari, senza che sia forzato ad accettare soluzioni degradanti o comunque non desiderate.
In tale bilanciamento, assume fondamentale rilievo il decorso del tempo, poiché più tempo passa e più il figlio deve rendersi conto che le proprie aspettative occupazionali sono forse troppo alte rispetto alla realtà o che comunque si trova in un contesto economico-sociale in cui il mercato del lavoro richiede un adattamento delle aspirazioni iniziali, sicché l’impegno a ricercare, e ad accettare, occupazioni lavorative anche diverse da quelle rispondenti alle originarie aspirazioni assume rilievo sempre più pregnante con il passare degli anni.
Si tratta di effettuare un accertamento di fatto che, considerata l’età del figlio, abbia riguardo all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale o tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa e, in generale, alla complessiva condotta personale dallo stesso tenuta dal raggiungimento della maggiore età in avanti.
Una volta, poi, che sia provato il reperimento di un’occupazione lavorativa, occorre verificare se questa abbia davvero portato il figlio maggiorenne all’indipendenza economica.
Quest’ultima può essere definita come capacità di conseguire reddito dalla propria attività lavorativa in conseguenza della collocazione nel mondo del lavoro, la quale, come sopra evidenziato, deve essere adeguata alle attitudini e alle capacità professionali del figlio maggiorenne, anche se questi ultimi aspetti assumono sempre minore rilievo con il decorso del tempo e l’aumento dell’età del figlio.
Ovviamente, si tratta di valutazione da effettuare in concreto, in base agli elementi di giudizio offerti dalle parti onerate, che attengono sia alle caratteristiche dell’attività lavorativa e sia alle aspirazioni, alle attitudini e alle capacità effettive del figlio maggiorenne.
In particolare, il genitore obbligato al mantenimento sarà tenuto a provare l’ottenimento dell’occupazione lavorativa e l’avente diritto all’assegno dovrà provare l’inadeguatezza, in concreto, del reddito percepito in termini assoluti o in relazione alle sue concrete aspirazioni e capacità.
Tale valutazione è riservata al giudice di merito e può portare ad elidere o a conservare, eventualmente in parte, il contributo al mantenimento del figlio. Il giudizio menzionato assume grande importanza, poiché, per giurisprudenza costante, l’obbligo di mantenimento oltre la maggiore età, proprio perché concepito come una eccezione al sistema, è ancorato a presupposti ben precisi, distinti dall’obbligo meramente alimentare, e non è suscettibile di “reviviscenza” qualora, per qualunque motivo idoneo, lo stesso sia venuto meno una prima volta, residuando, in presenza dei requisiti di legge, solo gli obblighi alimentari.
Alla presenza di determinati presupposti, la legge consente che permanga l’originario obbligo di mantenimento previsto per il figlio minorenne in favore dello stesso figlio che sia divenuto maggiorenne, ma, una volta cessato, non può sorgere di nuovo, perché ciò non è previsto dall’ordinamento.
Proprio per questo motivo, occorre valutare con molta prudenza i presupposti per la cessazione del contributo al mantenimento del figlio, in presenza di occupazioni lavorative occasionali o saltuarie, che non esprimono, appunto, un effettivo collocamento nel mondo del lavoro.
Diverso è il discorso nel caso in cui l’attività lavorativa reperita sia a tempo determinato, di durata annuale o pluriennale, anche se prorogabile, che comunque consenta di lavorare a tempo pieno per numerosi mesi, ottenendo un compenso dignitoso.
In questo caso, non può negarsi a priori l’acquisizione della capacità lavorativa, conseguente all’utile collocamento nel mondo del lavoro, tenuto conto che il contratto a tempo determinato, e rinnovabile, è ormai una modalità sempre più diffusa nel mercato del lavoro.
Secondo la Suprema Corte il giudice del reclamo avrebbe dovuto valutare, in concreto, sulla base delle deduzioni e delle prove offerte dalle parti, nel rispetto dei reciproci oneri, le specifiche ragioni per cui un contratto di lavoro a tempo pieno annuale e prorogabile, che consenta entrate dignitose, in relazione alle condizioni attuali del mercato del lavoro, non hanno consentito di ritenere raggiunta l’indipendenza economica, tenendo conto delle effettive attitudini e delle correlate aspirazioni del figlio, senza che abbiano rilievo le astratte potenzialità di guadagno riferite al mero conseguimento della laurea.
Il decreto impugnato è stato cassato e la causa rinviata alla Corte , in diversa composizione, affinchè decida sulla base del principio enunciato.