I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza”. Cosi testualmente recitano i commi 50 e seguenti della legge numero 76 del 2016 “Legge Cirinnà”.
La norma si riferisce ai conviventi, non uniti da alcun vincolo di matrimonio, né uniti civilmente i quali potranno dunque disciplinare solo gli aspetti patrimoniali della loro vita in comune, mentre tutti gli altri aspetti rimangono esclusi dalla stessa.
Il comma 57 della legge citata individua i seguenti requisiti per la stipula di un valido contratto di convivenza : i conviventi devono essere tali, non coniugati, uniti civilmente o in un altro contratto di convivenza. Devono inoltre essere maggiorenni, non interdetti, ed uniti stabilmente da legami affettivi e di coppia nonché reciproca assistenza morale e materiale. Non devono, l’un l’altro, essere vincolati da rapporti di parentela, affinità o adozione, matrimonio o precedente unione civile. La sopravvenienza di una delle circostanze sopra evidenziate, ove sia possibile, estingue il contratto di convivenza con efficacia dal momento del verificarsi della stessa.
Il comma 51 della legge 76 del 2016, prevede che i contratti di convivenza devono rivestire necessariamente la forma scritta tramite atto pubblico o scrittura privata autenticata da notaio, o avvocato che attesti la conformità a norme imperative e ordine pubblico). La copia di quanto stipulato dovrà essere trasmesso al Comune di residenza dei conviventi ai fini dell’iscrizione all’anagrafe.
I contraenti potranno scegliere il regime patrimoniale ovvero potranno optare per la comunione legale, anche per una separazione legale dei beni o per una comunione convenzionale, salvo poi poter modificare in qualsiasi momento le convenzioni in ordine al regime patrimoniale scelto e la possibilità di poter recedere (unilateralmente) dal contratto di convivenza. Il convivente a cui dunque “non vada più bene” questa convivenza, avrà la possibilità di scioglierla con dichiarazione unilaterale resa al notaio o all’avvocato. Quando il convivente che eserciti il recesso sia unico titolare della disponibilità della residenza familiare, lo stesso dovrà concedere all’altro convivente un termine non inferiore a novanta giorni per abbandonare l’immobile.
Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termini o condizioni.
Facciamo qualche esempio: i conviventi possono prevedere nel contratto di convivenza la corresponsione, in favore del contraente più debole, di un contributo al mantenimento stabilendone modalità di versamento e durata; chi e in quale misura dovrà contribuire a determinate spese per il fabbisogno della famiglia di fatto; in quale parte i conviventi contribuiranno alle spese di ristrutturazione di un immobile; in quale misura gli stessi contribuiranno alle necessità della vita in comune in relazione alle rispettive capacità di lavoro professionale o casalingo ed eventuali trasferimenti immobiliari da effettuarsi nel corso della convivenza.